Non importa quel che è, o ciò che la realtà con insistenza ti bisbiglia all'orecchio. Quello che interessa alla testa è il più delle volte ciò che essa pensa.
Può sembrare strano, ma è un gioco nel quale spesso ci si perde e non si riesce più ad uscirne. Diventa un circolo vizioso dove mille cani cercano di mordersi tutti e mille contemporaneamente la propria coda: è un vortice, nel quale non si riesce a capire o a distinguere più nulla.
Così, come in un labirinto, vai a sbattere in muri dei quali ignoravi completamente l'esistenza. Ti muovi sicuro fino a quando non sbatti il naso contro qualcosa di più duro della tua testa.
E' questo che causa quell'altalena di sensazioni, di umori, di stati alternati di felicità, tristezza, slancio, e voglia di restare immobili. Ti guardi dentro, durante uno di questi picchi alti, e ti vedi non alto, ne grande, ma tranquillo: come il mare piatto durante una bellissima giornata d'estate dove non c'è nessuna onda pericolosa. Poi ti guardi dentro, durante uno di questi picchi bassi, e ti vedi gretto, asfissiante, ripetitivo, prolisso; ti vedi grigio come la cenere; ti senti come il grigio che cerca con ottusa cocciutaggine di vestirsi da arlecchino: ne esce una figura triste, ma non di una tristezza affascinante, bensì una tristezza patetica, capace di suscitare compassione.
Sono le viscere le fondamenta dell'uomo. Sono le budella, le interiora, e gli accumuli di grasso, che ne costruiscono il corpo. E' ciò che di sporco si nasconde sotto di esse che lo rendono quel che è.
Ed in certi momenti l'importante non è la realtà, ne tantomeno ciò che la testa si ostina a vedere come realtà. L'importante è restare immobili, fissare il soffitto nel buio, e sopra ogni cosa: cercare di non deglutire.
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