lunedì 17 maggio 2010

L'amore e non la sete

spiegami come fai, l'amore e non la sete, distinguere le emozioni, la pelle e i rettili che si posano su di esse. i colori tutti quanti, il giallo il verde il viola, l'arcobaleno dei tuoi pensieri. ubriacami di parole, quelle dolci, quelle dure, quelle lunghe e affusolate; quelle che escono dalla bocca come sospiri, tubi, nuvole e vapori vari. disegnami gli elenchi con i quali descriviamo il mondo, i punti uno ad uno di ogni singolo paesaggio. passami le matite, i pennarelli, i pastelli a cera, per riempire i contorni di fuoco, neve, gelo, caldo o freddo.
sono queste le mie ustioni, quelle che bruciano più di tutte, che fanno male e si infettano di aria, putride nell'aggrinzirsi di croste prima molli e poi solide ma leggere come un velo (nero): il non sapere mai, il dubitare sempre, l'incertezza di ogni passo, teso d'avanti a me ma anche quelli già camminati. non è la nebbia, o la messa a fuoco automatica, né le lenti degradate su degli occhi che non ne hanno affatto bisogno; è questa alternanza, spento acceso spento acceso acceso spento, un codice morse trattenuto a volte a stento ed altre ancora invece silenzioso tanto quasi quanto la neve.
c'erano due bambini, un maschio ed una femmina, che si divertivano a comunicare in questo modo tamburellando con le dita sulla parete che li separava; ma uno dei due era un vampiro, un vampiro vero. aveva venduto l'anima al diavolo e non solo: aveva patito le pene dell'inferno, era stato seviziato, torturato, maltrattato, scritto lettere, lo sai.
non voglio capire, o cercare di capire, chi è vampiro e chi no, mordere il collo e fermarsi solo a quello. lo so già, mi conosco ed è così che andrebbe la natura: senza freni, in discesa ripida. nessuno nel mondo reale non vietato ai minori si fermerebbe a due morsi piccoli sul collo. la giugulare sarebbe solo la partenza, per prendere energie, farsi forza per partire con la fame vera, sbranare ogni cosa, aprire torace e affondare la testa dentro fino in fondo: prosciugare qualsiasi spazio, ogni vena, anche le idee.
e non finirebbe certo lì. lo sai bene, lo so bene. macchiato ancora, sempre sporco, attenderei la notte per volare basso e continuare a mangiare bere, mordere sul serio. sarebbe una strage, con mille corpi stesi al suolo, inermi senza vita: un tappeto a coprir le strade, della pelle vuota con solo le ossa dentro, senza polpa. forse resteremmo solo io e te, alla fine, in questa città deserta, dopo notti e notti di tragedie, banchetti negli angoli dei parchi: non alla luna piena quanto piuttosto alla nostra solitudine.
quindi, prima di far morire persone su persone, pure amici conoscenti e parenti vari, ti prego: spiegami come fai, per evitare tutto questo.

Nessun commento: