giovedì 6 maggio 2010

Sonno

svegliarsi non è mai stato così difficile, con gli occhi abbottonati e gonfi che si chiudono in stile rettile, una palpebra in alto e una palpebra in basso a congiungersi nel mezzo; neppure quando abitavamo in tre nell'appartamento minuscolo alla periferia di Firenze, e passavamo la sera a parlare del futuro, del passato, dell'imperfetto e giocavamo con le virgole, la punteggiatura tutta, dopo che per cena avevamo mangiato solo dei secchi e duri cornflakes ritrovati nella credenza aperti da chissà quanto. quando dormivamo tutti e tre, uno abbracciato all'altro, nello stesso letto, nella stessa camera, d'inverno con il freddo fuori e il riscaldamento dentro che ci alitava addosso solo un poco, giusto un che di caldo: la mattina quando ci alzavamo avevamo i capelli spettinati, i pensieri ancora appiccicati addosso, i sogni, i nostri sogni, mezzi infranti nella notte mentre alcuni no, ancora vivi, tutti stretti avvinghiati lungo la colonna vertebrale, a succhiarne il midollo, a sentirsi sanguisughe della vita, i nostri sogni. per ritrovarci una volta persi di nuovo a sera, separati prima e poi uniti, di fronte casa, poco spostati a sinistra o a destra rispetto al portone d'ingresso che nascondeva le scale in marmo antico messo male; restavamo ancora e ancora, secondi minuti ore, con i sacchetti pure della spesa appesi alle mani cariche, la schiena appoggiata al muro per cercare di spostare la casa il più vicino al mare, prima di rientrare e vedere tutta la nostra confusione casalinga. quante parole abbiamo speso, più dei soldi più del tempo, più del sangue, in quei momenti di crepuscolo tra la sera e la notte, cercando di respirare l'odore della salsedine che dalla costa non riusciva a raggiungerci, per quanto si sforzasse, per quanto ci provasse, per quanto.
quelli si che eran giorni, se eran giorni perché mi pare di ricordare solo le notti di quel periodo, che facevano fatica ad iniziare, a svegliarsi si, stirarsi giù dal letto o dal materasso appoggiato in terra con solo un lenzuolo a coprirlo; ma mai come oggi, mai è successo fino a stamattina, da allora, chissà poi. perché di quei giorni andati, passati ai bordi con i treni che passavano anche di notte, sferraglianti tra i binari con i loro carichi di container, frenavano per rallentare ma non fermarsi, rispettare i cambi, svegliare noi dal dormiveglia, non ho che solo un semplice ricordo, di un sorriso, di un rosso acceso, delle guance tonde, di come si era scostato, questo ricordo, dal tavolo imbandito davanti al quale era seduto, e con felicità aveva si era voltato verso di noi, in quel giorno perso tra il calendario, incuneandosi nelle nostre teste passando dagli occhi e penetrando nella memoria. questo ricordo. di quei giorni, se eran giorni, ma non di questi.

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