mercoledì 22 dicembre 2010

Il giorno del bucato

il sabato mattina era il giorno del bucato. ricordo ancora quanto ti arrabbiavi perché io non riuscivo a farmelo entrare in testa. lasciavo sempre i vestiti sporchi sparsi un po' ovunque per casa, quando invece avrei dovuto buttarli nel cesto dei panni da lavare, in modo da poterli prendere senza perdere tempo e andare tranquilli in lavanderia, sicuri di non avere dimenticato nulla. le urla poi, molto spesso trattenute per non farsi sentire dai vicini, una volta tornati nello scoprire che c'erano ancora delle mutande in bagno, o dei calzini nascosti in quello spazio ristretto tra il comodino e la parete della camera. mi davi dell'immaturo, infantile. mi chiedevi quando mi sarei deciso a crescere, a mettere la testa a posto, a concentrarmi su qualcosa - per dio, ripetevi, non mi importa cosa, basta che sia qualcosa! - invece di perdermi tra i mille pensieri che mi passavano per il cervello. ti lasci distrarre da qualsiasi minimo dettaglio, borbottavi mentre ordinavi dentro i cassetti la tua biancheria appena lavata.
non sono mai stato a mio agio nel mondo adulto. ho sempre pensato, sbagliando ovviamente, di essere rimasto ancora ai tempi di mia madre, quando ci pensava lei a lavare, stirare, e i vestiti riapparivano quasi per magia dentro l'armadio, puliti e pronti per essere di nuovo indossati. non me ne sono reso conto ora, anche se quando vado da solo in lavanderia a mettere dentro la lavatrice solo i miei panni sporchi, ho molto tempo a disposizione per pensare a quello che è stato, oltre ovviamente a ciò che è. forse farei più bella figura a dire che mentre vedo girare nell'acqua le mie maglie, le camicie, così come le mie vergogne, rifletto su quello che siamo stati, su come ci siamo attirati, ci siamo avvicinati, ci siamo annusati e poi allontanati. ma la verità è che non penso affatto a tutto questo. queste sciocchezze le sapevo già prima, non avevo bisogno di tempo per rifletterci. le nostre differenze erano più evidenti dei nostri interessi comuni. quando ci scontravamo con ciò che ci piaceva e ciò che detestavamo facevamo scintille capaci di appiccare incendi, era sotto gli occhi di tutti, figurati se non le avessi notato.
quello a cui penso mentre aspetto di riprendere i miei vestiti è come avremmo potuto continuare, quali impalcature avremmo dovuto costruirci attorno per tenerci in piedi. e quanto giusto sarebbe stato farlo. voglio dire: a volte capita, come è successo a noi, di incontrare una persona e di vederla magnifica, capire quanto sia straordinaria, intelligente, profonda, e di rimanerne ammaliati, sul colpo. poi, conoscendola, andando a esplorare tutta la sua personalità, scopriamo alcuni punti di contrasto, aspetti che non collidono alla perfezione con i nostri stessi risvolti. per stare insieme, per stare bene insieme, due persone dovrebbero essere un po' come un puzzle, di cui entrambi possiedono solo metà dei pezzi, e tutti gli aspetti delle proprie personalità si dovrebbero incastrare bene o male con le sporgenze e le concavità di ognuno, andando poi a formare il quadro completo. noi invece ci ritrovavamo a parlare male, a volte, avendo per lo stesso punto entrambi il pezzo con il braccio in rilievo, oppure anche un pezzo diverso di due puzzle differenti. il nostro errore forse è stato quello di non voler reputare straordinaria una persona senza volere farla propria. almeno per quanto mi riguarda. il mondo è pieno di persone interessanti, intelligenti, brillanti, il problema è che sono talmente rarefatte che quando ne incontro una, un ragazzo o una ragazza che sia, interessante, mi sento in dovere di avvicinarmi a essa il più possibile, entrare quasi dentro di lei, o fare entrare lei dentro di me. ho l'urgenza quasi fisica di fare parte del suo mondo, di intrecciare i miei aspetti con i suoi, di disegnare una fitta rete di strade e autostrade, sopraelevate, cavalcavia sopra binari ferroviari, passaggi a livello, capaci di unire me a lei e lei a me. invece dovrei trovare il modo di vederla straordinaria ma lasciarla andare, capire che per quanto bella e affascinante, non solo di aspetto fisico ma anche di bellezza e splendore interiore, non è adatta a me. sono così avido a volte da volere accumulare sempre più ricchezza, e bellezza, e tenerezza, e qualsiasi cosa una persona possa stringere dentro di sé, senza rendermi conto che l'importante in certe situazioni non è la quantità, quanto piuttosto la qualità.
so di essermi spiegato peggio della centrifuga che fa girare i miei panni in senso orario, da sinistra a destra, in su e in giù, ma penso che se avessimo davvero voluto fare funzionare le cose tra noi due dentro la lavatrice avremmo dovuto metterci i nostri giorni neri, quelli pieni di litigate, o di incomprensioni silenziose, le porte chiuse a tenerci lontani nella stessa casa, le passeggiate fatte da soli nel freddo di sere durante le quali nessuno dei due aveva voglia di mettersi a tavola per tirarci addosso veleni pieni di odio represso. se lo avessimo fatto magari saremmo riusciti a lavare via da quelle giornate lo sporco che alla fine ci ha stancato. perché via, non prendiamoci per il culo, se abbiamo alzato bandiera bianca non è stato certo per delle puttanate quali il giorno del bucato. quelle erano solo stupidate delle quali poi ridevamo. non avevano spigoli, non erano acide come succo di limone su ferite aperte. erano momenti durante i quali lasciavamo sbuffare via il vapore in eccesso, prima che questo ci facesse esplodere per la troppa pressione. erano interventi programmati, ne eravamo consapevoli, e quando succedevano ci attrezzavamo di conseguenza, indossando cappelli per proteggerci la testa, scarpe antinfortunistiche, così da non farci male. i momenti davvero pericolosi erano quelli che succedevano e basta, che non avvertivano del loro arrivo. le fughe di gas improvvise a insinuarsi tra di noi senza farsi notare, in attesa spasmodica, accumulata di minuti in minuto, che uno di noi due accendesse un fiammifero o un fuoco qualsiasi. quelli si che ferivano, tagliavano, sbranavano, dilaniavano. se non li abbiamo mai messi in lavatrice, questi momenti, un motivo ci sarà stato, e il dolore più grande è forse stato quello di rendersi conto di non averlo fatto non per dimenticanza o per chissà quale stupida cazzata, ma proprio per quell'unico singolo motivo. per me può essere stato uno e per te può esserne stato un altro, non voglio entrare dentro questo labirinto di complessità personali, ognuno ne aveva uno per il quale sarebbe stato pronto a sacrificare pure se stesso. chiamalo orgoglio o dagli il nome che ritieni più opportuno, fatto sta che né io né te abbiamo cercato di pulirci a vicenda, o da soli, da quei giorni sporchi, pur sapendo bene che a forza di ferite alla fine si muore.

2 commenti:

Intrastenia ha detto...

Meraviglioso.

Edward S. Portman ha detto...

grazie mille