mercoledì 9 dicembre 2009

Addio Firenze

Parto dalla fine perchè è quella che sempre più si ricorda più difficilmente si dimentica si dimena per spiazzare e cacciare via le mosche con la coda così irta di aculei quasi fosse un drago appollaiato sopra uova che non sono sue cova la progenie di qualche altra specie quando mai si schiuderanno e profumeranno in fiori nei campi sterminati di uomini donne bambini uccisi squartati alla gola con ferite non da arma da fuoco ma da morsi e bocconi banchetti con i quali sfamarsi e digerire passare con effetti lenti sopra il mercoledì il giovedì il venerdi arrivare a sabato e domenica e sorvolarli leggeri su un biplano di quelli a motore vecchio stile con l'elica appiccicata sul muso sul davanti così veloce nel suo movimento da farla diventare invisibile agli occhi. Così io che sono seduto con in mano la cloche e la tiro verso di me per alzarmi ancora un po' la spingo verso fuori lontano per scendere in picchiata per picchiare il mio stesso corpo con l'aria che mi schiaffeggia la faccia a velocità di non decollo, sto precipitando verso la terra che si ingrandisce sempre più vedo i fiumi allargarsi vedo le strade ingrigirsi diventare nere farsi asfalto vedo le case i villaggi le città le lucine illuminate dei lampioni che quando siamo sul marciapiedie, io e te, a camminare mano nella mano stretti io dal lato del traffico per proteggerti da qualsiasi possibile sbandata d'auto, quegli stessi lampioni che ci sembrano così alti da confondersi quasi con le stelle ci sdraiamo per terra e guardiamo il cielo per disegnare le nostre fantasie sulle costellazioni per esprimere desideri andati a male scaduti non appena vediamo fulminarsi un sole in qualche altra galassia lontana lontana; quei lampioni ora stanno crescendo come le nostre sensazioni si fanno prima bambini piccoli e uggiosi poi adolescenti adulti già vecchi si lamentano di tutto del fatto che non ci sentono che non sentono noi e noi non gli parliamo se vogliamo parliamo d'altro o non parliamo affatto quando invece dovremmo prenderli e cullarli, si è vero che poi invece è il contrario, ma pensare ad una casa fatta di legno in mezzo al bosco dove potersi arrendere alla giornata che finisce distendersi davanti al camino per chiacchierare con due bei bicchieri panciuti di vino in mano che si avvicinano alla bocca e si apre la bocca si apre appena per far passare prima il bordo del vetro trasparente poi il rosso rubino del vino. Sto scendendo in picchiata per picchiare la faccia contro la terra per farmi schiaffeggiare dalla realtà quanto dura e pura questa sia la realtà mi saprà svegliare davvero e per sempre come ora e nell'ora della nostra morte: amen. Addio Firenze.

Nessun commento: