martedì 8 dicembre 2009

Spera Sfera

Dicevi che prima o poi avrei fatto suicidare i surfisti, sarebbero stati trovati impiccati con la tavola accanto. Io rispondevo che non lo sapevo, ero un po' indeciso. Stavamo facendo colazione per passare il tempo, per arrivare puntuali, vicino a dove di solito la sera ci davamo appuntamento con messaggi in codice. Qui aquila rossa: in postazione. I mondiali si giocavano di mattina, oppure di pomeriggio, in televisori piccoli e traballanti. Pioveva, non pioveva, era estate, e le piscine che andavamo a visitare erano diverse dai parcheggi davanti ai cimiteri, quelli sbagliati tra l'altro, o gli aereoporti dove ci dettavano il bollettino meteo della neve. Le piscine erano nascoste, dall'altro lato della strada, così belle e spumeggianti, accanto a fontane spruzzanti di schizzi d'acqua che si coloravano alla luce del sole; ma allo stesso tempo era così lontane dagli occhi di tutti gli altri che ci domandavamo sempre che senso avesse avuto costruire lì, in mezzo ad una zona industriale, un'oasi verde di prati tagliati in automatico da robot piccoli e quadrati; ogni volta che ci andavamo dovevamo lavare la macchina, fosse stato inverno o anche no, che l'ultimo pezzo di strada non c'era strada ma solo fango quando pioveva, sassolini invece quando c'era il sole. E quando c'era il sole, ricordi, ci incantavamo come stupidi ai piedi delle scale, aspettando di essere accolti in qualche stanza, parlavamo del più e del meno e poi ad un tratto ci fermavamo, nei discorsi negli sguardi nei respiri in tutto quanto circolasse dentro. Credevo di essere l'unico, ma tu mi seguivi a ruota, non c'è che dire, anche se poi dicevi il contrario, ridevi, mi spintonavi via, per poi venirmi a cercare, la domenica, con telefonate nascoste, durante le quali mi chiedevi aiuto, mi domandavi chilometri che ti davo. La casa era così bassa che tra poco ci picchiavamo la testa sul soffitto, e non dovevamo chiamarla casa perchè in fondo non lo era, una specie di garage allargato dove era stato messo il riscaldamento e diviso in stanze più o meno uguali con bagno e cucina. Quando ti trasferisti tra i lupi, che per arrivare dicevi dovevo attraversare tre rotonde e poi altre quattro, credevo di essermi perso per almeno cinque volte prima di riconoscere la luce accesa, il tuo numero squillante sul cellulare che mi chiamava per dirmi: butto la pasta? Quella si che era una casa, anche se lontana, anche se oggi sembra più vicina, ma già non ci vivi più. Chissà se dove stai ora c'è un sgabuzzino abbastanza grande dove mettere tutte queste parole, che se piove rischiano di lievitare, diventare sempre più grandi e non entrarci più. Meglio che mi fermi, prima di rischiare di affogare tra le lettere e i ricordi.

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