martedì 22 giugno 2010

Non siamo noi/Braccati

sono venuti con i rilevatori di calore a cercarci. puntavano delle ingombranti pistole con uno schermo a colori caldi e colori freddi nei posti dove eravamo stati: panchine, sedie, prati. speravano di poterci rintracciare. avevano questa stramba teoria secondo la quale i nostri corpi avevano bruciato così tanto da lasciare dei residui nell'aria. non credevo funzionasse, ma dopo qualche secondo alcune immagini hanno iniziato a comparire sui loro display. non eravamo noi, anche se potevamo sembrarlo. erano piuttosto delle ombre delineate male, con i bordi giallo acceso mentre l'interno di un rosso più largo.
avevi ragione te, quando mi dicevi di non appoggiare le mani sulle tue gambe. lasci il segno, mi rimproveravi. non capivo cosa intendessi. mi guardavo ogni volta i palmi per controllare che non fossero sporchi; ma non lo erano mai. così continuavo a toccarti. e più ti toccavo più lasciavo segni.
lo sentivo, ma non credevo sarebbero stati visibili questi segni. sapevo di lasciare qualcosa, tipo: ogni lasciata è persa; ma mai e poi mai avrei potuto pensare che un giorno sarebbero stati capaci di trovarci grazie a questi miei momenti di piccola perdizione.
perché lo fai? mi chiedevi a volte. perché continui a toccarmi e toccarmi quasi la mia pelle, nuda o vestita, fosse ossigeno e del tocco tu ne avessi tutto questo bisogno vitale. perché? mi chiedevi.
no so, rispondevo. forse soltanto perché, in fin dei conti, un perché vero e proprio non c'è. perché quando sono vicino vorrei esserlo ancora di più, e quando magari ti appoggio una mano sul lato di una tua gamba, così del tutto per caso, forse tu neppure te ne accorgi mentre pensi ad altro e ad altro pensi che non sia la mia mano furtiva sulla tua gamba, conto dentro di me i secondi che passano: uno due tre, e trattengo il respiro. mi dico: ancora un secondo, soltanto uno ancora. pongo un obbiettivo, di arrivare a contare almeno fino a cento centodieci centoventi, prima di prenderti alle spalle e abbracciarti qualsiasi cosa tu faccia o tu dica.
non credevo di fare del male a nessuno. davvero. sul serio. ho sempre pensato al contrario, che invece facesse piacere. ricevere un abbraccio come ricevere un bacio, un augurio un favore. mai ho pensato in tutta la vita che stessi sbagliando, andando in una direzione mia solo e soltanto, contromano e contro tutti. invece ora mi ritrovo a guardare questi rivelatori di calore, così puntati sul nulla, quel nulla che qualche tempo fa riempivamo di noi, e mi pare ci stiano quasi inchiodando al paesaggio, ritirando su dal passato tutti i miei sentimenti sensazioni e respiri sospiri. è come se le nostre impronte fossero bruciate, e bruciando avessero lasciato un alone nel mondo.
ci stanno cercando, lo so, e forse ci stanno pure trovando. non credevo l'ombra di un fuoco facesse così tanto scalpore, o grigiore, da permettere a chi vuole di seguirne le orme. ho sempre guardato hai nostri rintocchi come a dei suoni di tatto che scacciassero il buio accogliendo al suo posto la luce. le volte che ti toccavo, che resistevo per cinquanta sessanta settanta secondi, c’erano i fuochi d'artificio per aria ad illuminare la notte, le stelle cadenti splendenti a correrci incontro; ma tutto un qualcosa che purtroppo si spegneva, che durava si e no il tempo di un lampo. invece ora scopro, senza trattenere il rimpianto, che gli avanzi dei resti lasciati alle spalle continuano a brillare e dribblare l'avanzo dei giorni, che passano passano ma non sbiadiscono mai per intero le tracce del nostro toccarci leggero, che definirlo toccarci quasi arrossisco e mi vergogno.
mi pento e mi dolgo, con il cuore e soltanto, di non aver trovato la forza, l'energia, o l'idea, di catturare i restanti bagliori riflessi, quegli attimi appena, i soffi repressi, che ho lasciato indietro e che ora non ci portiamo più appresso, alleggeriti di qualcosa che ormai è perso.

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