mercoledì 16 giugno 2010

Pacman

la cosa incredibile non è tanto la distesa pressoché infinita di fauci pronte a mordere e sbranare, quanto piuttosto la facilità con la quale si pretende di digerire situazioni senza masticarle minimamente. si ingoiano a pezzi, lasciandole scivolare verso lo stomaco, lamentandosi poi di come quest'ultime deformino in slarghi dolorosi l'esofago tutto per l'intero percorso. si ha fede quando la fede non ha niente a che vedere con la meccanica o la chimica del corpo. diciamo: ci penseranno i succhi gastrici a scomporre in elementi semplici tutto quello che inghiottiamo con una fretta il più delle volte fuori luogo, sbavando fuori dalla bocca, sporcandoci tutti senza l'uso di bavaglini da infanti ricamati con i nostri nomi propri di battesimo.
buttiamo dentro, inscatoliamo nell'apparato digestivo, un pacco dono fatto di budella viscere e intestini, ogni cosa non riusciamo a capire, a comprendere, a spiegare con leggi che dovrebbero regolare il naturale processo di vita morte e miracoli, e che invece sempre più spesso non fanno altro che ingarbugliare ancora ancora e ancora più a fondo tutto quanto il rotolo di circostanze che ci ha portato a banchettare con i fatti.
c'è una legislatura che spesso infrangiamo, rubando rapendo scrivendo, che dovrebbe esser capace di regolare qualsiasi transazione tra il dare e l'avere, il darsi e il ricevere,l’ affetto e la comprensione; ma il più delle volte si finisce per deragliare dal percorso, finendo per perderci in luoghi non luoghi che sono le fantasie di ognuno di noi, luoghi dove la gravità non ha tutto questo potere così come pure il libero arbitrio. fai questo fai quello, diciamo a noi e agli altri, inscenando una recita che per quanto veritiera possa essere non è affatto reale.
per questo afferriamo qualsiasi cosa ci capiti per le mani e la buttiamo giù dritta in bocca: pistole, castelli, amori, illusioni, pugnali, ponti, pontili, panchine, aiuole - l'erba verde appena bagnata dalla pioggia - occhiali, cellulari, orologi, scarpe, pantaloni, camicie, discorsi, rossetti, mani intrecciate le une alle altre; la notte, il giorno, i pomeriggi, i bicchieri, la sete, la luna ed il sole. ci bruciamo scottiamo facendo esplodere le bolle di ustioni bollenti su gengive sulle quali ormai non nascon più denti. crediamo, forse sbagliando forse cadendo per caso nel giusto, che tutto quello che riusciamo a mangiare alla fine non ci farà poi più tanto male. divoriamo le persone, i fatti, la loro mente; mangiamo i luoghi dove siamo per restare immacolati sicuri e tranquilli in uno spazio bianco infinito. guardiamo lontano e non c'è niente di niente se non appunto il niente assoluto: bianco vergine che ci fa stupidamente sentire perfetti.
ma rimuovere i problemi non significa risolverli. per la fretta li aggiriamo, superandoli in un balzo mordendoli al fianco, ma loro rimangono, invece che fuori se vuoi più potenti all'interno di noi. bussano da sotto la pelle, di tanto in tanto per farci capire che aspettano ancora, che non si ingannano con questi trucchetti ma voglion esser sciolti come giusto o sbagliato che sia. fai una mossa, suggeriscono da dentro, mentre noi non facciamo altro se non maledire la fretta che ci ha fatto correre senza guardarci alle spalle, a ciò che lasciavamo dietro di noi, o a ciò che ci mettevamo insaziabili in bocca.
mangia il tempo, ci diceva la fame, quel batuffolo riccioso di aculei e spine. non aveva intenzione di perdere il tempo, di lasciarlo su un piatto di una partita in fin dei conti già finita. aveva fretta, più fretta di noi; così l'abbiamo assecondata, la fame che ci prendeva alla gola del collo dei sogni, chiedendoci spiegazioni per capire qualsiasi cosa ci trovassimo davanti. ignari, o felici contenti distratti, che così facendo alla fine in un modo o nell'altro, nel bene o nel male, ne sarebbe poi uscita solo e soltanto merda.

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