giovedì 3 giugno 2010

Siamo tutti prigionieri

quando le persone sono prigioniere di altre persone si tende a sbirciare il mondo dalle uniche misere finestre concesse dentro la propria cella, cercando di far passare la testa tra le sbarre. c'è chi bacia attraverso quelle sbarre, nota bene, e quando è così non si può far altro che piegarsi alla curva del tempo e dello spazio, chinare il capo verso la sfumatura più bella che ci possa passare accanto, quasi sfiorandoci in un solo punto, soffiandoci contro la bellezza di un sospiro di tangente: un leggero sussurro che pare urlare alla realtà fuori, con il rumore silenzioso o il silenzio rumoroso di sottofondo alzato verso l'alto, con i bassi, rari e pizzicati, a vibrare tra le orecchie di chi quel bacio tra le sbarre non lo riceverà mai, eppur lo agogna. c'è chi invece vede ristringersi la propria visuale, a causa del movimento degli occhi che paiono come infagottarsi uno contro l'altro, abbracciando il naso, spinti dalla forza delle tempie incuneate tra le sbarre.
si crea anche un piccolo micro sistema, una società tutta unica e particolare all'interno di un carcere dove le regole si trasformano, cambiando senso simboli e pure pene. l'essere fuorilegge quando si è già stati puniti dalla legge acquista un significato tutto particolare, un significato che oltrepassa quello indicato in qualsiasi vocabolario e che sovrasta il senso attribuibile alla parola e al concetto del mondo fuori, nella realtà dei maggior parte, nella società sana, matura al punto giusto, di chi fa e sente e beve e fuma e legge e corre e ride e odia ed ama. perché giudicare i già giudicati, puntare il dito contro persone della propria razza, dopo esser consci di essersi trasformati insieme in una specie nuova, con sempre due braccia due gambe una testa due polmoni un pene una vagina, le unghie che crescono insieme ai capelli o alla barba, è l'unica soddisfazione che ci rimane; giocare al massacro reciproco, cercando di affondare la testa del più debole sempre più in fondo sia nello scroto di chi è già morto o, in mancanza di un cadavere, nell'acqua putrida del cesso più sporco e zozzo dell'intera scozia: è un vizio che è duro a morire, anche tra i criminale più incalliti, che di solito si pensa esser dediti a peccati ancor più gravi.
questo rimane a chi ormai ha perso tutto in una sola stupida mano, o chi invece è riuscito a farsi più di un giro senza pagarne poi le conseguenze, ad ogni singola mandata, ma che alla fine è stato preso, catturato, imprigionato, indicato, non come mostro ma bensì come animale, da famigliole felici, tutte agghindate alla perfezione mentre portano i figli ancora vergini, bambini così teneri da far invidia all'innocenza stessa, a fare un giro allo zoo, per vedere cosa erano i loro antichi sogni dei loro stessi progenitori, antenati, non cartoni animati: bestie senza vestiti, che per mangiare non usano le posate e se gli porgi una forchetta loro la rompono.
divaghiamo:
chissà cosa penseranno quegli stessi genitori che ora si atteggiano come paladini della giustizia quando saranno i loro figli a strapparsi via di dosso le camice i pantaloni le mutande, si strapperanno pure la pelle via dalle ossa squartandosi la carne; chissà cosa urleranno, come imprecheranno, per spazzare via dalla memoria che pure loro stessi hanno avuto quella stagione di pazza non sviscerabile follia, durante la quale cercavano di trarre quanto più piacere si potesse dallo scavare in fondo al corpo, quando il prurito prude e prude ancor di più e non serve a niente grattarsi, serve solo a sentir ancor più prurito.
quindi non cercare di venir qui a giudicarmi. non fare insulsi giochi di parole cercando una tua improbabile innocenza nel tirare in ballo me: io sono qui da molto più tempo, si può dire che tu oggi sia entrata/o in casa mia, ed hai deciso di insultarmi, in modo sibillino da far incuneare il dubbio, ma quale dubbio?, invece di venir da me con ricchi doni, oro incenso e mirra, per non dico inchinarti al mio cospetto - no non voglio perché già io mi son sbucciato via le ginocchi a suon di chinarmi e prostrarmi come un mulo, come un umile - ma quanto meno per presentarti, farti conoscere anche se già sapevo chi tu fossi e cosa hai fatto, quale è stata ed è tutt'ora la tua colpa: quella che ci grava addosso sopra il capo a tutti noi, chiunque sia rinchiuso qui. non commettere l'errore di pensarti speciale, importante o chissà che: quel che hai fatto tu lo abbiamo già fatto noi mille e mille volte, forse pure meglio.

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