giovedì 15 aprile 2010

Ci nascondiamo nell'invisibile

arde ancora questo fuoco con zampillanti lingue colorate che si esaltano verso l'alto nell'affanno di trovare spazio dove dimenarsi, o trovare ossigeno da bruciare per alimentarsi, sopravvivere. e quando non lo trova, come si fa piccolo nel suo accucciarsi sul suo letto fatto di pensieri e di riposi, parole da accudire da intagliare da intrecciare per farne maglie da indossare per farne coperte con cui scaldare, le nostre gambe braccia teste petti e ventri. esita in fondo strisciando tra la cenere e la brace fino a quando non ci decidiamo a buttarci sopra litri e litri e litri di benzina senza piombo. ma basterebbe pure poco, giusto uno sputo, per farlo tornare a danzare sfavillante di schiumosa bramosia, di fantastici languori assopiti poi dal tempo, tutto, durante il quale non ci tocchiamo né sfioriamo e a tratti neppure ci pensiamo.
non importa per questo parlare ragionare far di conto o chiacchierare, rischiamo solo di annoiarci fino in fondo, di perderci in triste e trite e bieche formalità: ciao come stai cosa fai cosa non fai quanti anni hai? chiusi stretti ancora congelati dentro un buco uno sgabuzzino una stanzina dove non riusciremmo neppure a sdraiarci se mai lo volessimo o se lo desiderassimo come il ghiaccio più del ghiaccio che con il freddo fa ustioni e bruciature, piega carne in congetture di grinze striminzite dove non conta chi ha torto o chi ha ragione, chi per gioco o per volontà, chi per fame chi per sete, chi per solitudine od orgoglio, conta solo e soltanto grattarsi e rigrattarsi via la pelle, fino ad uscire in carne viva, rossa pulsante e primitiva.
per far questo importano davvero le luci colorate? o il sole, le nuvole, le tempeste? mi domando: quanto ancora dobbiamo continuare a far sempre ed imitare le solite storie e gesta? di nuovo domani dopo domani e l'altro domani che verrà poi, recitare le nostre nenie così da impararle a memoria; non è che stiamo soltanto tirando un po' troppo la fune per vedere quando infine si deciderà a spezzarsi? in fondo si tratta di semplice evoluzione, dall'acqua all'aria per finire poi nel fuoco, tolte tutte le parole e le frasi con le quali l'agghindiamo di nastrini lucchichenti da farla risplendere così distante nel buio, la nostra evoluzione.
e se proprie non ci vogliamo evolvere che almeno si faccia una sanguinosa rivoluzione! un qualcosa che faccia capire quanto violenti siano i nostri intenti, le nostre galassie interiori. amputiamo arti, tagliamo teste, sventriamo squartiamo lamellari brandelli di muscoli nervi filamenti nodosi di calli e ossa. che ci sia pioggia di plasma e urina, feci infette dall'odore nauseabondo, il terrore fatto vile, con urla così alte da strappar le unghie contro il cielo. torturiamo, mutiliamo: interroghiamo con metodi inquisitori le nostre più recondite volontà.
da dietro la tua schiena, tu chinata in cucina a sparecchiare rigovernare, lavare pentole e piatti e bicchieri, o anche solo a pensare riflettere su tutto quanto, l'universo le piogge acide io e te, ti prenderei cingendoti la vita con la punta delle dita, appoggiandoti le labbra giusto un poco più umide bagnate, sulla base del tuo collo, sulla pelle liscia e tesa; su quel bacio soffice e beato che senza rumore o avvisi e avvisaglie, senza tregua o armistizio, sul tuo collo io bacerei.

ma poi, a volte, le rese sono pure e semplici paure.

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