lunedì 5 aprile 2010

Primavera

Pedalava ad un ritmo non proprio da crociera. Spingeva le gambe, una alla volta, in alternanza, dall'alto verso il basso, per trasformare la sua forza in movimento. Scivolava nel traffico non certo ossessivo delle otto e trenta di mattina, lasciandosi alle spalle le poche persone che sui marciapiedi proseguivano a piedi, lente, alcune già con le borse della spesa, altre invece con dei cani al guinzaglio che tiravano per poter annusare la base di un palo o l'inizio di un muricciolo, piegarsi di lato e pisciare negli angoli.
Di tanto in tanto chiudeva gli occhi, quando la strada le permetteva di farlo, un tratto dritto e non troppo congestionato dalle auto, perchè le piaceva sentire la primavera respirarle sulla faccia, l'aria fresca e soleggiata solleticarle la pelle, le guance; quel tempo atmosferico che tutto ad un tratto si era fatto così gioioso le stirava le labbra in un sorriso disteso.
Quando si era svegliata, alzata dal letto, fatto due passi scalzi sul pavimento non più freddo glaciale marmato ma accogliente rugoso delle mattonelle in color crema della camera, era andata alla finestra con le persiane ancora chiuse ed aveva sbirciato tra le tegole orrizzontali degli infissi per intuire o spereare la temperatura esterna. Era stata felice di vedere l'asfalto della strada davanti casa sua illuminata dal sole, e chinandosi verso il basso, raggomitolandosi su se stessa per vedere anche pure il cielo, scoprire appunto il cielo così limpido celeste e del tutto sgombro di nuvole nere o grige.
Finalmente, si era detta di fronte allo specchio del bagno mentre si spazzolava i capelli rossi che si erano accesi di un fuoco splendente, poteva smetterla di pensare ai vestiti, pesanti e ingombranti, con i quali ogni giorno era costretta a vestirsi per rispondere ad armi pari al freddo di quell'inverno. Era giunta la primavera; in ritardo, era vero, pensava mentre si spazzolava i denti accogliendo in bocca il sapore fresco della menta del suo dentifricio, ma alla fine era arrivata, proprio come tutti gli altri anni.
Aprire l'armadio, con le ante a spalancarsi in un abbraccio gigante, e fiondarsi dentro tra i vestiti corti, leggeri, le maglie a mezze maniche con tutti i disegni pazzi e strani dipinti sul davanti.
Era tempo di esser felice, o di prepararsi ad esserlo, per poter poi scoppiare quando sarebbe arrivata l'estate. Dobbiamo esplodere, detonare in mille festanti grida, e urla, e gioa.
Pensava.
E pedalava.
Stava bene.
E pedalava.
L'aria, attorno a lei, sorrideva.

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