martedì 13 aprile 2010

quel che può anche solo un singolo breve abbraccio

in quell'abbraccio di parte in disparte, non un abbraccio totale faccia a faccia dove perdersi e schiantarsi contro il petto contro lo stomaco stretti legati accartocciati come carta stagnola stropicciata, ma uno accanto all'altra con trasporto arrampicati come rampicanti come edera su di una ringhiera od un muro colorato in bianco e nero di quelle pellicole romantiche di un tempo che si guardano in televisione durante i pomeriggi di giorni di festa ma piovosi quando il tempo ti trattiene a casa e chiude la serratura della porta con due mandate di chiave dura che per uscire non ci vuol solo coraggio o quel briciolo di manciata di sana ed invidiabile pazzia ma anche tanta tanta volontà sincera di bagnarsi e di spogliarsi di pulirsi di lavarsi con la schiuma della pioggia della voglia della pelle del tuo prossimo di chi ti sta accanto di chi ti abbraccia non di faccia ma di lato chi ti aiuta e si aiuta con il tuo aiuto a sorreggerti e a sorreggersi per tentare di non dormire di non cadere nel sonno in piedi come i cavalli ma oscillare lenti come steli di fiori sbocciati in un campo verde e chiaro sospinti dal vento e dal suo fiato; in quell'abbraccio durato forse chissà quanto, due o tre respiri moltiplicati per novemila battiti al secondo?, e tirato per le lunghe trascinato fino all'ultimo dilatato all'infinito per non farlo mai finire nel tentativo di restare lì immobili per sempre anche quando le mani sono poi scivolate giù e la stanchezza ha fatto presa così intensa devastante da ordinare ad entrambi di mettersi a sedere; in quell'abbraccio venuto fuori si direbbe quasi per caso e senza il minimo pensiero, involontariamente ma spontaneo e naturale, lui si sentiva elettrico e dipinto di celeste, poi di blu intenso scuro, poi di giallo luminoso, un arancione rosso acceso, un bianco dello stesso bianco del candore, e poi di nuovo nero nero buio come se gli occhi si fossero chiusi o l'ombra di lei se mai potesse esser stata un'ombra si fosse posata su di lui; in quell'abbraccio che lo stingeva in un arcobaleno teso ad arco, con i mille pensieri e sensazioni a transitare come in coda lungo tutta la colonna vertebrale, lui si sentiva lei e credeva che lei fosse lui, in un attimo, forse due forse tre, forse per tutta la sua durata, di scambio di ruoli e di riconversioni, rimescolamento tattile a fior di pelle. si chiese se per caso anche per lei fosse lo stesso, se quel che sentiva lui era la stessa vibrazione che poteva ascoltare lei. si domandò, senza però riuscire a chiederlo ad alta voce e per questo a darsi o a farsi dare una risposta, se pure lei si fosse accorta come si era accorto lui, scosso da dentro da un terremoto gentile che aveva provocato un vuoto grande grosso e così denso da renderlo felice, che tra una cosa e l'altra, forse a caso forse no, forse per qualche congiunzione astrale che vedeva lui desiderarlo così tanto nello stesso tempo in cui pure lei lo pregava intensamente alla sorte, che per magia, o artifizio, o volontà di entrambi sottointesa, per qualche istante si erano tenuti per mano.
e la sua mano era calda. e al sua mano, la mano di lei, era ricca di estasi; così tanto da trasportarla fino a lui, fino al fondo ultimo e più profondo dei suoi bronchi, capillari, e farlo sussultare in palpiti silenziosi, così nascosti da custodirli in ricordi da mai dimenticarsi.

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